A cura della Dott.ssa Fiorina Giona e del Dott. Lorenzo Rizzo
Dal 20 al 22 ottobre 2018 si è tenuto a Lisbona il 34° meeting annuale dell’Histiocyte Society, la più importante società scientifica internazionale nel campo delle malattie degli istiociti, costituita da oltre 200 medici e ricercatori impegnati nello studio dei diversi disordini istiocitari e nel miglioramento dell’outcome dei pazienti affetti da questi disordini.
Nel meeting di quest’anno, è stato dato ampio spazio alla presentazione dei risultati sia di studi biologici che clinici riguardanti l’Istiocitosi a cellule di Langherans (ICL) e la malattia di Erdheim-Chester.
La grande parte dei lavori presentati sulla ICL riguardava dati sulle diverse mutazioni molecolari somatiche identificate nella malattia. Per quanto riguarda le mutazioni riscontrate, tutti gli studi presentati, seppur eterogenei, concordavano sul fatto che la quasi totalità dei pazienti con ICL presentano una mutazione a livello del pathway di MAPK/ERK, pathway attivante della fase mitotica1, nella maggior dei casi (50-60%) a livello di BRAF o a livello di MAP2K1 (35%) o a livello di altri geni coinvolti nel pathway (17%)2.
Alcuni studi prospettici hanno valutato sia l’impatto prognostico della mutazione BRAFV600E sia il suo andamento in corso di trattamento.
A tale riguardo, il gruppo cinese del Beijing Children’s Hospital ha presentato i dati relativi all’utilizzo della droplet-digital PCR nel monitoraggio di BRAFV600E nel sangue venoso di 57 bambini affetti da ICL con mutazione di BRAFV600E riscontrata su tessuto bioptico. I pazienti in cui veniva riscontrata la mutazione di BRAF a livello periferico erano quelli in cui il coinvolgimento d’organo era esteso e che rispondevano meno precocemente alla terapia con vinblastina3.
Il gruppo del Cincinnati Children’s Hospital, studiando prospetticamente 5 pazienti pediatrici affetti dal ICL, ha rilevato come l’espressione e la persistenza della mutazione BRAFV600E nel sangue venoso periferico non siano in grado di prevedere la comparsa di eventuali riattivazioni di malattia4.
Particolarmente interessanti i dati del Registro Francese, comprendente 1.897 pazienti adulti e pediatrici, sulla correlazione tra la mutazione BRAFV600E e lesioni neurodegenerative. La presenza della mutazione sembra correlare con una maggior probabilità di sviluppare un coinvolgimento neurodegenerativo in corso di ICL, con un rischio relativo a 10 anni del 33% rispetto al 3% se la mutazione è assente5. Purtroppo, il riscontro della mutazione BRAFV600E a livello del liquido cefalorachidiano nelle lesioni neurodegenerative è difficile e non sempre attendibile. Per la conferma di un coinvolgimento neurodegenerativo del SNC sembrano essere molto più attendibili i livelli di osteopontina6,7.
Numerosi sono stati gli studi clinici sui risultati delle terapie convenzionali e dei nuovi farmaci con target molecolare.
Tra quelli riguardanti le terapie convenzionali, hanno suscitato interesse due lavori presentati dal nostro Istituto su bambini e adulti affetti da ICL con coinvolgimento osseo trattati con indometacina, in prima linea o in fase più avanzata. L’efficacia del farmaco è stata osservata sia nei pazienti trattati in prima linea, con risposte del 100% di cui 60% complete e 40% intermedie, sia nei pazienti trattati in fase avanzata, spesso lungamente pretrattati, con risposte del 88%, di cui il 70,5% complete e 17,5% intermedie8, 9.
Nel campo dei farmaci con target molecolare, i risultati di uno studio multicentrico europeo e libanese con vemurafenib, inibitore di BRAF, utilizzato in monoterapia su 54 pazienti adulti con ICL con malattia refrattaria e/o neurodegenerativa, si sono rivelati deludenti. Il trattamento con vemurafenib, somministrato per un periodo mediano di 9 mesi, ha dimostrato un buon profilo di sicurezza (un solo caso ha presentato tossicità di grado ≥ 3) ma una limitata efficacia soprattutto nella malattia neurodegenerativa10.
Risultati incoraggianti sono stati riportati con dabrafenib, un nuovo inibitore specifico di BRAF, utilizzato sia nella ICL multi-sistemica che nella malattia di Erdheim Chester in pazienti adulti. Il gruppo americano del Memorial Sloan Kettering, trattando circa 20 pazienti, adulti e bambini, affetti da ICL o malattia di Erdheim Chester per un periodo mediano superiore a 3 anni, ha ottenuto una percentuale di risposta complessiva di oltre il 70%, di cui il 30-40% complete11, con tossicità accettabile. La sospensione del trattamento, per tossicità o decisione del paziente, ha determinato una ricomparsa della malattia, dopo 6 mesi, nel 70% dei casi. I pazienti con ricaduta, ritrattati con lo stesso farmaco, hanno ottenuto una nuova risposta per cui gli autori consigliano di prolungare il trattamento oltre il periodo della risposta11.
Per quanto riguarda la tossicità dei farmaci target, il gruppo francese di Jean Donadieu ha riportato i risultati di uno studio multicentrico retrospettivo su 37 pazienti adulti con ICL, trattati con inibitori di MAPK (vemurafenib e dabrafenib), in cui sono stati riscontrati effetti collaterali a livello cutaneo ed ungueale (distrofia ungueale e ipercheratosi) in una elevata percentuale di casi (79%)12. Il meccanismo alla base di questo tipo di tossicità è stato attribuito all’attivazione paradossa del pathway di RAS-MEK10. Gli effetti collaterali possono essere ridotti con la somministrazione di un altro inibitore del pathway di MAPK/ERK, quale per esempio cobimetinib, che andrebbe ad agire sull’attivazione paradossa data dall’inibizione di BRAF. E’ stato anche constatato come la combinazione di questi due inibitori possa migliorare la loro efficacia terapeutica grazie all’azione sinergica11.
A questo riguardo sono stati presentati i risultati preliminari di trial multicentrici prospettici di terapia combinata in pazienti, soprattutto adulti, con ICL e malattia di Erdheim Chester. Questi studi sono attivi in diversi centri americani, tra cui il Texas Children’s Cancer Center, che ha riportato i risultati di diversi trial aperti all’arruolamento anche di pazienti in età pediatrica7,13,14. I risultati più incoraggianti, in termini di efficacia e di riduzione della tossicità, sono stati ottenuti con la combinazione di dabrafenib e trametinib, un inibitore di MEK, soprattutto nei pazienti con malattia di Erdheim Chester11.
Il gruppo inglese del Cambridge University Hospital ha riportato i risultati di uno studio retrospettivo in cui era stata utilizzata la combinazione di dabrafenib e trametinib in 13 bambini con ICL refrattaria trattati in maniera continuativa senza tossicità rilevanti e che, dopo un follow up mediano di 20,9 mesi, risultavano essere tutti rispondenti e liberi da malattia14.
Il gruppo del Texas Children’s Cancer Center ha riportato l’esperienza con un inibitore del tumor necrosis factor alpha (TNF-alpha), l’etanercept, il cui razionale per l’utilizzo si basa sul presupposto che i pazienti con ICL aggressiva presentano valori elevati di TNF-alpha. L’etanercept è stato utilizzato in 5 pazienti adulti con ICL, refrattari a più linee terapeutiche, inducendo delle risposte transitorie, con una mediana di riattivazione della malattia di 4 settimane15.
Nel caso della malattia di Erdheim-Chester, gli studi presentati erano focalizzati soprattutto sul coinvolgimento neurologico, in particolare sulla neurodegenerazione16,17.
Il gruppo del Memorial Sloan Kettering ha riportato studi su modelli murini che hanno evidenziato il ruolo della microglia nello sviluppo della neurodegenerazione. In particolare, hanno rilevato che topi con cellule della microglia con mutazione BRAFV600E mostravano difficoltà motorie e di interazione con l’ambiente16.
Un gruppo di ricercatori della Washington University ha illustrato i risultati di altri studi su modelli murini, in cui è emersa l’importanza della mutazione del gene codificante TREM2 (triggering receptor expressed on myeloid cells 2) nella malattia di Erdheim-Chester neurodegenerativa, con un meccanismo analogo a quello riscontrato nella malattia di Alzheimer. In questa patologia è stato dimostrato che la mutazione del gene codificante provoca la perdita di funzione di TREM2 che agisce a livello della microglia rendendola distrofica e, alterando la normale apoptosi, favorisce un’insorgenza precoce della malattia17.
Diversi gruppi hanno presentato dati sul valore prognostico negativo della mutazione di BRAF nel coinvolgimento del SNC anche nella malattia di Erdheim-Chester5.
Uno studio retrospettivo su sangue midollare di 101 pazienti adulti e pediatrici con malattia di Erdheim-Chester, ha identificato con tecniche di next generation sequencing (NGS), oltre a BRAF, mutazioni a carico di altri geni coinvolti nelle neoplasie mieloidi: TET2 (esclusivamente in presenza di mutazione di BRAF), ASXL1, DNMT3A, N-RAS, CBL, K-RAS, JAK2 e SRSF218. E’ emersa, inoltre, una correlazione lineare fra età e numero di mutazioni, con i pazienti più anziani portatori di un maggior numero di mutazioni.
Uno studio retrospettivo di ricercatori dei National Institutes of Health di Bethesda su 62 pazienti adulti affetti da Erdheim-Chester con coinvolgimento polmonare ha dimostrato che la severità dell’andamento clinico e la risposta alle terapie non correlava con la presenza di BRAFV600E quanto, invece, gli indici di funzionalità polmonare19.
Un altro studio sempre di un gruppo dei National Institutes of Health di Bethesda in pazienti con malattia di Erdheim-Chester ha dimostrato come la mutazione BRAFV600E non correlasse con lo sviluppo di calcificazioni a livello delle arterie coronariche20.
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