E’ stata pubblicata il 23 giugno sul New England Journal of Medicine la review “Philadelphia Chromosome–Positive Acute Lymphoblastic Leukemia” a firma di Robin Foà e Sabina Chiaretti.
E’ il coronamento di una storia iniziata quasi 20 anni orsono, quando fu condotto il primo studio GIMEMA per il trattamento di quella che allora era la peggior neoplasia ematologica, utilizzando in induzione solo l’inibitore delle tirosin-chinasi (TKI) imatinib in pazienti con leucemia acuta linfoblastica (LAL) Ph+ di età superiore a 60 anni. Lo studio, pubblicato su Blood (Vignetti M et al, 2007;109:3676-8), dimostrò per la prima volta che con la combinazione di imatinib e steroide praticamente tutti i pazienti ottenevano una remissione di malattia (RC). Da allora sono stati condotti dal nostro gruppo molti altri studi usando TKI di 2da e 3za generazione. Si è potuto così dimostrare che il 94-100% dei pazienti adulti con LAL Ph+ di tutte le età poteva ottenere una RC con una terapia di prima linea con un TKI (più lo steroide) e senza chemioterapia sistemica. Questa strategia terapeutica si associava a bassissima tossicità per i pazienti.
Negli anni si è progressivamente compreso come per sperare di evitare una recidiva di malattia e migliorare le possibilità di guarigione non bastasse una remissione ematologica, ma fosse essenziale ottenere uno stato di negatività della malattia residua minima (MRD).
Nel 2016 iniziò il primo studio per pazienti adulti con LAL Ph+ in cui l’induzione con il TKI dasatinib è stata seguita da un consolidamento con l’anticorpo monoclonale bispecifico blinatumomab. Questo approccio chemo-free basato su una terapia targeted (TKI) seguita da una strategia immunoterapica (blinatumomab, che attiva i linfociti T del paziente) è stato associato a remissioni nel 98% dei pazienti e soprattutto a remissioni molecolari fino all’80% dei casi. I risultati di questo importante studio GIMEMA sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine (Foá R et al, 2020;383:1613-23). In un lavoro su Blood (Puzzolo MC et al, 2021;138:2290-3) il abbiamo per la prima volta dimostrato che questo trattamento era in grado di indurre una importante risposta immune nei pazienti trattati.
Questi risultati hanno indotto il New England Journal of Hematology a chiedermi di scrivere una review sul trattamento delle LAL Ph+ dell’adulto. Nell’articolo (Foá R and Chiaretti S, 2022;386:2399-2411) abbiamo descritto la storia del cromosoma Philadelphia descritto nel 1960 come prima alterazione citogenetica associata ad un tumore umano (la leucemia mieloide cronica (LMC)), fino allo sviluppo dei TKI e al cambiamento radicale nel trattamento e nella prognosi dei pazienti con LMC e successivamente con LAL Ph+. Discutiamo l’uso negli anni dei TKI, da soli o in combinazioni con dosi ridotte di chemioterapia, nel trattamento di prima linea di pazienti con LAL Ph+, di come consolidare le risposte ottenute con i TKI, di come l’immunoterapia con blinatumomab abbia significativamente potenziato le risposte ottenuto con i TKI. Viene discussa la gestione delle recidive sulla base delle nuove prospettive terapeutiche e valutato il ruolo oggi del trapianto allogenico di cellule staminali. Un sottocapitolo è dediucato a “Role of Laboratory Testing in Management” in quanto i risultati ottenuti nelle LAL Ph+ sono stati possibili solo attraverso la disponibilità di laboratori certificati che utilizzano metodiche standardizzate per un corretto inquadramento alla diagnosi e un preciso monitoraggio durante la terapia. Uno sforzo organizzativo assai impegnativo, ma essenziale per l’ottenimento dei risultati discussi sopra.
Nella review tocchiamo anche il tasto della “Accessibility and Sustainability”. Quanti pazienti hanno accesso a tutto questo? In termini di test di laboratorio e di accesso ai farmaci? Ancor oggi in molte parti del mondo la disponibilità di TKI è limitata. Di fatto, troppo spesso l’accesso ai laboratori per i test necessari e alle terapie è possibile solo per chi può permetterselo.
Ricordiamo anche come questo approccio di induzione e consolidamento senza chemioterapia sistemica sia stato particolarmente importante durante il primo picco della pandemia da Covid-19, permettendo ai pazienti di ridurre i tempi di ospedalizzazione e soprattutto di non interrompere il trattamento.
Nei “Concluding Remarks and Future Prospects” diciamo che gli studi attualmente in corso – in primis il nuovo protocollo GIMEMA aperto all’arruolamento – chiariranno definitivamente se una quota di pazienti con LAL Ph+ potrà essere trattata senza chemioterapia sistemica e trapianto. Un risultato impensabile anche solo pochi anni orsono.
Robin Foà