Nel corso del 57° meeting dell’ASH (American Society of Hematology), svoltosi ad Orlando (FL, USA) dal 5 all’8 dicembre 2015, la Sessione Plenaria di domenica 6 dicembre è stata dedicata alla presentazione e discussione dei 6 migliori abstracts fra quelli sottomessi al congresso. L’ASH meeting rappresenta tutt’oggi il più importante appuntamento ematologico mondiale e una veloce carrellata degli abstract inseriti nella Plenary Scientific Session può fornire un’idea interessante degli argomenti più “attuali” dell’ematologia odierna.
L’aggiunta di rituximab migliora l’outcome dei pazienti adulti con leucemia linfoblastica acuta (LLA) da precursori delle cellule B (BCP) CD20-positiva: queste le conclusioni dello studio randomizzato Graall-R 2005, che è stato il primo abstract presentato (Maury S et al. Abs. 1: https://ash.confex.com/ash/2015/webprogram/Paper82882.html). L’antigene CD20 è espresso dal 30-50% dei pazienti adulti con BCP-LLA: lo studio ha arruolato 209 pazienti (età compresa fra 18 e 59 anni) con espressione di CD20 in più del 20% dei blasti leucemici, trattati con il protocollo di ispirazione pediatrica GRAALL con o senza l’aggiunta di rituximab. Il tasso di pazienti in Remissione Completa (RC) dopo induzione e reinduzione di salvataggio è risultato sovrapponibile nei due bracci (92% vs. 91% nel gruppo rituximab e di controllo, rispettivamente), così come il tasso di pazienti con MRD<10-4 (91% vs. 82% dopo induzione e consolidamento, rispettivamente). Al contrario, l’incidenza della recidiva è stata maggiore nel braccio di controllo, con conseguente sopravvivenza libera da eventi (EFS), endpoint primario dello studio, a 2 anni maggiore nel braccio rituximab (65% vs 52%; p=0,038). La sopravvivenza globale (OS) è stata complessivamente sovrapponibile nei due bracci (71% vs. 64% a 2 anni; p=0,095), ma migliore nel gruppo rituximab se veniva escluso l’outcome dei pazienti dopo trapianto in prima RC (74% vs. 63%; p=0,018).
Sul piano sperimentale, invece, Masuda T et al. (Abs. 2: https://ash.confex.com/ash/2015/webprogram/Paper80611.html), hanno presentato i risultati dei loro studi diretti all’identificazione dei meccanismi molecolari che regolano il silenziamento del gene della g-globina, necessario per la formazione dell’emoglobina fetale (HbF: a2g2). Come l’espressione dell’HbF venga silenziata nelle cellule eritroidi adulte non è completamente noto, eppure questa conoscenza sarebbe essenziale per lo sviluppo di approcci mirati nel trattamento delle emoglobinopatie, tesi a riattivare le produzione di HbF. I risultati presentati nel corso dell’ASH meeting dimostrano che il Leukemia/lymphoma Related Factor (LRF), codificato dal gene ZBTB7A, rappresenta un nuovo e potente repressore della produzione di HbF, candidandolo come potenziale target terapeutico nel trattamento delle emoglobinopatie.
I risultati dello studio randomizzato di fase 3 TWiTCH, che ha valutato il trattamento con idrossiurea in alternativa alle trasfusioni per la prevenzione dell’ictus nei bambini con anemia a cellule falciformi (SCA) ed elevata velocità di flusso nelle arterie cerebrali al doppler transcraniale (TCD), sono stati quindi presentati da Ware RE et AL. (Abs. 3: https://ash.confex.com/ash/2015/webprogram/Paper79359.html). Sul totale di 121 bambini randomizzati, lo studio, interrotto precocemente dopo che un’analisi ad interim ha mostrato che l’endpoint era stato raggiunto, ha dimostrato che la terapia con idrossiurea (dose media: 27 mg/kg/die) non era inferiore al trattamento trasfusionale nel ridurre le velocità al TCD (138 ± 1,6 vs. 146 ± 1,6 cm/sec; p per la non-inferiorità = 8,82 x 10-16) e anzi superiore (p per superiorità = 0,046). La somministrazione di idrossiurea è stata quindi indicata come un’efficace alternativa alla terapia trasfusionale a lungo termine per la prevenzione dell’ictus nei bambini con SCA ad alto rischio.
Le mutazioni dei geni dello spliceosoma SRSF2, U2AF1 ed SF3B1, comuni nei pazienti con emopatie mieloidi, incluse le sindromi mielodisplastiche (MDS) e la leucemia mieloide acuta (LAM), sono state al centro dei dati presentati da Lee ASW et al. (Abs. 4: https://ash.confex.com/ash/2015/webprogram/Paper86077.html). Gli autori hanno dimostrato che in un modello murino di LAM umana mutante per i fattori di splicing, il trattamento con E7107, un modulatore dello spliceosoma, era in grado di indurre una riduzione significativa della massa leucemica, superiore a quanto osservato nelle forme di LAM wild-type, ponendo così le basi genetiche e farmacologiche per una modulazione terapeutica dello splicing nei pazienti con MDS e LAM portatori di queste mutazioni.
Nei pazienti con emofilia A severa, l’utilizzo di FVIII ricombinante (rFVIII) è associato con un rischio 1,87 volte maggiore di sviluppare inibitori rispetto ai casi trattati con FVIII di derivazione plasmatica (pdFVIII). Queste le conclusioni dello studio indipendente randomizzato Sippet (Peyvandi F et al. Abs. 5: https://ash.confex.com/ash/2015/webprogram/Paper82866.html ), condotto su 251 pazienti (età mediana: 14 mesi) con emofilia A severa non precedentemente trattati. Lo sviluppo di un inibitore è stato osservato in 76 pazienti (50 con alti titoli), di cui 29 casi nel gruppo ricevente un pdFVIII e 47 nel gruppo trattato con un rFVIII (incidenza cumulativa: 26,7% vs. 44,5%, rispettivamente). Il maggiore rischio rimaneva anche dopo esclusione dall’analisi dei concentrati di rFVIII full length di seconda generazione. Poiché lo sviluppo di alloanticorpi inibitori rimane un problema maggiore nella gestione dell’emofilia A, questi risultati possono avere implicazioni nella scelta dei concentrati per la terapia dei pazienti non precedentemente trattati.
Infine, la presentazione dei risultati ottenuti con l’utilizzo dell’inibitore multichinasico midostaurina nei pazienti con LAM di nuova diagnosi e mutazioni attivanti di FLT3 nello studio randomizzato CALGB 10603/RATIFY (Stone RM et al. Abs. 6: https://ash.confex.com/ash/2015/webprogram/Paper80269.html) ha concluso la sessione plenaria. In 717 pazienti con LAM (età compresa fra 18 e 60 anni), lo studio ha dimostrato che l’aggiunta dell’inibitore alla chemioterapia standard (daunorubicina e ARA-C) e come mantenimento per 1 anno era in grado di migliorare significativamente la EFS e la OS rispetto al gruppo trattato con placebo. L’Hazard Risk per la OS era pari a 0,77 e per la EFS a 0,80, per il braccio minostaurina rispetto al braccio placebo. I risultati dello studio suggeriscono l’utilità di utilizzare l’inibitore di FLT3 minostaurina come componente del trattamento nei pazienti adulti con AML FLT3-mutata.
Come risulta da questi breve riassunto, il meeting annuale dell’ASH si conferma vetrina privilegiata per la presentazione dei più importanti dati sperimentali e clinici in ambito ematologico.