Report Extra Day CAR-T cells – Roma, 28 ottobre 2019
Il terzo Extra Day del progetto Hematology Passport per il 2019, dedicato alle CAR-T Cells, si è svolto a Roma, presso l’Hotel Giustiniano, nella giornata di lunedì 28 ottobre 2019.
Gli Extra Days sono parte integrante del progetto Hematology Passport e mirano a fornire ai giovani ematologi delle occasioni di incontro, apprendimento e confronto con i migliori esperti. Il tema di questo Extra Day, le cellule CAR-T ed il loro utilizzo clinico, esemplifica l’evoluzione rapida e costante dell’Ematologia degli ultimi anni e rappresenta un argomento di grande – forse persino eccessiva – rilevanza mediatica. Come affermato dal Prof. Robin Foà – promotore di Hematology Passport – nell’introduzione alla giornata, accanto alle grandi aspettative e nuove possibilità che l’introduzione in clinica di questa particolare forma di immunoterapia ha sollevato, ne vanno esaminate criticamente le reali potenzialità e limiti, nonché l’applicabilità nel contesto italiano. Con l’approvazione anche nel nostro Paese di due prodotti commerciali a base di CAR-T, questo trattamento è adesso disponibile per i pazienti all’interno dei Centri specialistici selezionati dalle Regioni su criteri AIFA e certificati per l’uso delle CAR-T (fra cui il Centro di Ematologia del Policlinico Umberto I): le CAR-T Cells sono quindi una realtà e pongono problematiche cliniche ed organizzative – nonché economiche – non trascurabili, ampiamente discusse nel corso del meeting.
Ma cosa sono le CAR-T Cells? Sono linfociti T, ingegnerizzati ad esprimere un recettore antigenico (T-Cell Receptor, TCR) chimerico, in grado di riconoscere specifici antigeni di superficie presenti sulla cellula tumorale. Il TCR chimerico agisce come il TCR endogeno, attivando la cellula CAR-T e dirigendone l’attività citotossica verso lo specifico target. Il trattamento con CAR-T Cells prevede il prelievo di linfociti T autologhi, la loro trasfezione virale o non-virale con il TCR chimerico e l’espansione in vitro, e infine l’infusione delle CAR-T (dopo chemioterapia riduttiva dei linfociti autologhi), che agiscono distruggendo le cellule neoplastiche e liberando citochine. Un processo dunque complesso, che coinvolge la clinica, il laboratorio e la farmacia.
In questa giornata, prima di affrontare gli aspetti clinici e pratici della terapia con CAR-T Cells, la situazione regolatoria mondiale di questo trattamento è stata riassunta dalla Dott.ssa Alice Di Rocco (Roma). Una storia ormai decennale, che parte nel 2010 con il trattamento del primo paziente ed arriva ad oggi, con più di 400 studi clinici sulle CAR-T attivi nel mondo. Sono attualmente in sperimentazione CAR-T Cells con diverse specificità antigenica (non solo CD19, ma anche CD30, CD22, ecc.) e in diverse patologie, incluse, accanto alle neoplasie ematologiche, alcune forme di tumori solidi. I trattamenti approvati sono CAR-T di 2° generazione, che accanto al TCR chimerico presentano l’aggiunta di molecole costimolatorie, necessarie per evitare l’esaurimento dell’attività dei linfociti T in vivo; in futuro arriveranno anche CAR-T Cells di 3° generazione (con doppio dominio costimolatorio) e di 4° generazione (fino ad ora testate solo in vitro), caratterizzate dal potenziamento di geni per aumentare la liberazione di citochine e la citotossicità.
Ad oggi, le CD19 CAR-T Cells sono state approvate in Italia per il trattamento dei pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) resistenti o recidivati e per pazienti con leucemia linfoblastica acuta (LAL) a cellule B fino a 25 anni di età. I risultati ottenuti in queste patologie dimostrano tassi di remissione completa (RC) molto elevati (70-90%), ma le recidive sono comunque presenti. L’altra problematica rilevante è rappresentata dalla tossicità associata al trattamento, rappresentata principalmente dalla cosiddetta Cytokine Release Syndrome (sindrome da rilascio di citochine, CRS), dovuta alla massiccia liberazione di citochine da parte delle cellule CAR-T a seguito dell’incontro con il target specifico, e la neurotossicità, più tardiva della precedente e particolarmente frequente nei pazienti che hanno sviluppato una CRS. Entrambe queste potenziali complicanze possono essere anche molto gravi e richiedono una precoce diagnosi e un tempestivo trattamento. Le problematiche di tossicità associate al trattamento con CAR-T sono state esposte alla platea in modo approfondito dalla Prof.ssa Chiara Bonini (Milano).
Gli studi clinici attualmente in corso, come il trial di fase 1/2 per pazienti con emopatie maligne a cellule B CD19+ condotto dal Fred Hutchinson Cancer Center di Seattle e illustrato dal Prof. Filippo Milano, stanno esplorando strategie diverse per il superamento di queste limitazioni. Il protocollo del Fred Hutchinson prevede, dopo la leucoaferesi del paziente, la trasduzione con lentivirus e l’espansione separata dei subset CD4+ e CD8+, che vengono poi reinfusi al paziente al rapporto di 1:1. I risultati di sicurezza e di efficacia osservati nei 30 pazienti trattati fino ad oggi sono stati buoni, con una percentuale di RC nelle LAL che si avvicina al 100%. Un altro aspetto importante ai fini degli outcome di sopravvivenza e di remissione è rappresentato dalla chemioterapia di condizionamento: l’aggiunta di fludarabina sembra infatti avere un impatto positivo e suggerisce l’utilità di una maggiore intensità di linfodeplezione per ridurre il rischio di recidiva in questi pazienti.
Una possibile alternativa alle CAR-T Cells autologhe, con significativi vantaggi in termini di tempi e di costi, è rappresentata dalla produzione di CAR-T allogeniche “universali”, nonostante gli ostacoli posti dalla graft-versus-host disease (GVHD) mediata dal TCR del donatore, dal rigetto delle cellule trasfuse e dall’intensa immunosoppressione necessaria, con il conseguente rischio di infezioni. Come ha spiegato il Dott. Reuben Benjamin del King’s College di Londra, il trattamento con CAR-T allogeniche prevede la deplezione di CD52 e TCR endogeno sulle cellule del donatore (per prevenire la GVHD) e il trattamento del paziente con alemtuzumab (anticorpo monoclonale anti-CD52 per prevenire il rigetto delle cellule infuse). Le “UCART19”, le prime CAR-T Cells anti-CD19 allogeniche “off the shelf” sono in corso di sperimentazione clinica in due studi (denominati PALL e CALM) nei pazienti con LAL a cellule B recidivati o refrattari, rispettivamente pediatrici e adulti. I dati ad oggi disponibili mostrano un’alta efficacia, con tassi di remissione completa superiori all’80% e negatività per malattia minima residua nel 71% dei pazienti trattati, accanto ad un profilo di tossicità gestibile. Non sono stati osservati casi di GvHD acuta moderata o severa né neurotossicità grave, ma il trattamento può indurre riattivazione virale e citopenie prolungate. Il futuro sviluppo ed utilizzo di CAR-T allogeniche dovrà quindi cercare di rispondere a questioni oggi ancora aperte, come la reale persistenza delle cellule infuse per un tempo sufficientemente lungo a controllare la malattia o la possibilità di minimizzare l’immunosoppressione al fine di ridurre le infezioni. Inoltre, dati i problemi di sostenibilità dei costi poste dalle terapie a base di CAR-T Cells autologhe, sarà importante valutare il risparmio economico associato all’utilizzo di cellule allogeniche.
Con l’approvazione commerciale delle CAR-T cells e la possibilità di poter trattare pazienti anche al di fuori di trial clinici, si sono resi disponibili più dati clinici e follow up più lunghi, da cui è emerso che circa il 30-50% di pazienti che ottengono una remissione completa con CAR-T cells anti-CD19 possono recidivare, la maggioranza entro un’anno dal trattamento. La Dott.ssa Anna Martins Metelo, biologa presso il King’s College di Londra, a tal proposito ha illustrato i fattori che possono precludere remissioni durature a seguito della terapia con CAR-T Cells. In particolare, si è soffermata principalmente sui meccanismi biologici di resistenza che attraverso fenomeni di escape immunitario sono causa delle recidive CD19-negative, rappresentanti la maggioranza dei casi di recidiva delle LAL post CAR-T.
Infine, la Dott.ssa Di Rocco ha nuovamente preso la parola per illustrare le criticità poste dall’allestimento e funzionamento di una CAR-T Unit nella pratica clinica italiana e l’esperienza del Centro di Ematologia di Roma. Le problematiche includono due ordini di fattori:
- la gestione dell’intero processo terapeutico basato sulle CAR-T, estremamente complesso in termini di regolamenti e problematiche organizzative da rispettare;
- il monitoraggio post-infusione e la gestione degli effetti collaterali, che in alcune circostanze può comportare uno sforzo clinico non indifferente.
Relativamente al programma terapeutico, va considerato che l’intero processo prende circa 30 giorni, e include diverse tappe preparatorie (esigenze regolatorie, allestimento di una CAR-T Unit multidisciplinare, identificazione di personale dedicato, disponibilità di strutture cliniche di supporto, ecc.) e quindi il processo clinico vero e proprio: richiesta del farmaco tramite il farmacista e, dopo approvazione, raccolta delle cellule autologhe tramite aferesi (ma solo in presenza di un numero soglia di cellule CD3+), spedizione dell’aferesi, esecuzione di una bridging chemotherapy (che ha lo scopo di controllare la malattia del paziente prima della linfodeplezione e in attesa che il prodotto sia pronto), linfodeplezione con fludarabina e ciclofosfamide e infine infusione delle CAR-T Cells, prendendo contemporaneamente tutte le precauzioni necessarie (prenotazione di un letto di Terapia Intensiva in caso di necessità, disponibilità immediata di tocilizumab, ecc.).
Un processo, come si vede, estremamente complesso ed esigente in termini di personale e strutture dedicate, ma che non completa l’intero percorso del paziente, poiché a questo punto si apre la fase delicatissima del monitoraggio post-infusione. Per almeno 3 settimane dall’infusione di CAR-T, infatti, il paziente viene periodicamente monitorato: accanto ai parametri clinici, valutazione dei marcatori di danno d’organo, marker di infiammazione, emocolture e tamponi di sorveglianza, procalcitonina, coagulazione, riattivazione virale, ecc. Una particolare attenzione va posta alla diagnosi e gestione immediata della CRS: in particolare è importante identificare la comparsa di febbre con ipotensione, per valutare l’inizio del trattamento con tocilizumab. Altre manifestazioni di tossicità da CAR-T, come la neurotossicità, possono porre problemi analoghi (rapida identificazione e terapia con cortisone ad alte dosi), rendendo nel complesso la gestione del paziente molto impegnativa per le strutture e il personale sanitario.
E’ evidente quindi che il trattamento con CAR-T Cells è un programma complesso, caratterizzato da numerose fasi che richiedono un perfetto coordinamento e da complicanze specifiche, a volte anche pericolose per la vita. La sua introduzione all’interno della realtà sanitaria italiana, specie con la prossima approvazione di altri prodotti, creerà problemi gestionali nonché economici rilevanti, da affrontare e risolvere per offrire un trattamento ottimale a tutti i pazienti.
Il giorno successivo, il 29 ottobre, i 3 ospiti venuti da Londra e Seattle, Ana Martins Metelo, Filippo Milano e Reuben Benjamin, sono stati ospiti presso il Centro di Ematologia della “Sapienza”, dove hanno condiviso le proprie esperienze scientifiche e cliniche con il personale dei reparti e degli ambulatori. Dalla discussione è emerso come, nonostante le differenze tra sistemi sanitari pubblici e privati, sia comune la necessità di dover selezionare al meglio i pazienti da poter trattare con CAR-T Cells al fine di ottenere i migliori risultati di efficacia, contenendone la tossicità.